Intervista a cura di Benedetto Ghielmi
Nato da madre ligure e da padre siciliano. Al 1946 risalgono i primi ricordi di Catania, del Giardino Bellini e della via Etnea. Frequenta a Porto Maurizio la scuola elementare e quella media, dimostrando presto un particolare interesse per la geografia, l'astronomia e la musica. Frequentando il "Ginnasio-Liceo De Amicis" a Oneglia, sviluppa i primi interessi letterari. Si esercita in questi anni alle prime traduzioni dall'inglese, compone i primi versi, alcune opere teatrali e la bozza di un romanzo che si ispira all'opera e allo stile di Laurence Sterne che, insieme a Omero, Shakespeare, Goethe, Foscolo e Shelley, riveste un ruolo significativo nella sua prima formazione.
Nel 1962 visita Parigi, Londra e Bath, dove frequenta una scuola di inglese. Nel 1964, dopo aver ottenuto la Maturità classica, si reca nuovamente a Parigi e nell'autunno si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso l'Università Statale di Milano dove si laurea in estetica con Gillo Dorfles nel 1968, lavorando sulla retorica seicentesca, che diventerà l'argomento del suo primo libro. Scrive poesie. Negli anni settanta si impone all'attenzione della critica con due libri di poesia: Il processo di comunicazione secondo Sade (1975) e L'ultimo aprile bianco (1979) e negli anni ottanta si cimenta con successo anche nella narrativa con Primavera incendiata ed Equinozio d'autunno, cui faranno seguito, nei decenni successivi, L'impero e l'incanto (1995), Il terzo ufficiale (2002) e altri titoli fino a Sesso e apocalisse a Istanbul, uscito nel gennaio 2018.
Da inizi che in qualche modo si riallacciano ai testi della neo-avanguardia Conte procede verso la riscoperta del mito, del sacro, della natura. Nel 1994, in ottobre, promuove a Firenze l'occupazione pacifica della Basilica di Santa Croce con un gruppo di poeti (i capitani del Commando eroico, tra i quali Tomaso Kemeny, Roberto Carifi, Lamberto Garzia): pronuncia sul sagrato di Santa Croce un discorso in cui rivendica il primato etico e spirituale della poesia. Tra i messaggi di adesione, quelli di Lawrence Ferlinghetti, di Mary de Rachewiltz, di Mario Luzi, di Gao Xingjian.
Nel 1995-96 contribuisce a far sorgere il movimento del Mitomodernismo, partecipando con Tomaso Kemeny, Stefano Zecchi e altri a letture, conferenze e viaggi. Al primo Festival del Mitomodernismo di Alassio presenta l'opera L'Iliade e il jazz, con testi suoi e di Omero e musiche di Duke Ellington scelte dal bassista Dodo Goya. In collaborazione con Silvia Ronchey porta poesia e mito in televisione realizzando settimanalmente clips per il programma di Rai2 L'altra edicola. È invitato dall'UNESCO a rappresentare l'Italia nel World Institute for Opera and Poetry. Intanto collabora a diverse riviste e giornali quali Il Verri, Nuova Corrente, Sigma, Altro versante, la Stampa, il Giornale e Il Secolo XIX.
Nel 2006 vince con Ferite e rifioriture il Premio Viareggio sezione poesia. Ha prefato e/o tradotto opere di Walt Whitman, Adunis, Rabindranath Tagore, Jacques Prévert, Pablo Neruda, Serge Rezvani, Juan Gelman, Juan Uslé, William Blake, Percy Shelley, D. H. Lawrence, Victor Segalen e ha curato diverse antologie poetiche. Ha scritto il pamphlet Lettera ai disperati sulla primavera (2006) e opere teatrali e musicali come Boine (1986), Ungaretti fa l'amore (2000), e Nausicaa (2002).
Ho avuto il privilegio di incontrare - seppur solo telematicamente (ad oggi) il poeta Conte. Penso di poter affermare - con assoluta sincerità di parola e intellettuale - di aver conosciuto una persona e artista molto interessante - tra i più affermati - poeti viventi dei giorni nostri. Tuttavia - nel tempo seppur breve della mia esistenza - ho imparato ad non avere timore di stare davanti a persone di un certo rilievo culturale e letterario ma andando loro incontro - con curiosità e voglia di imparare - per apprendere e affinare l'arte del poetare e del cammino della vita.
-Quando ha iniziato a dedicarsi alla poesia? E perché?
Le mie prima passioni sono state l’astronomia e la musica. Le mie prime letture i romanzi d’avventura di Verne e Stevenson. Ho cominciato a leggere poesia e ad appassionarmi ad essa nei primi anni del Ginnasio, coltivando soltanto i classici. Leggere poesia diventò immediatamente desiderio di tradurla nella mia lingua, se era in una lingua straniera, e di scriverla. Un desiderio intrattenibile. Di cui non so dire razionalmente il perché. La mia prima traduzione fu dai versi dei Canterbury Tales di Chaucer, la mia prima poesia un sonetto carducciano, a 14 anni. Da allora non ho più smesso di amare la poesia e di scriverla, anche se per trovare la mia voce ci sono voluti molti anni, tutto è accaduto, dopo un periodo di silenzio, dovuto soprattutto al clima culturale della Statale di Milano che frequentavo allora, durato anni. Mi sono convertito al mito e alla natura, i temi dominanti dei miei primi libri. -Che cosa è per lei la poesia?
La poesia è il motore di tutta la mia attività letteraria, persino mentre scrivo articoli di giornale non mi dimentico di lei. E’ l’energia spirituale che cerca nel linguaggio il senso ultimo, o primo, delle cose, dell’anima, di Dio. Che dà voce a ciò che non ha voce. Che mantiene vivo tutto ciò che c’è di umano nell’uomo. Da giovane dicevo che scrivere una poesia è come tendere una mano nel buio sperando che qualcuna la stringa. Oggi do un valore antagonista alla poesia rispetto alla scala di valori del mondo in cui viviamo. Mi piace una poesia che lotta e canta, che sappia vedere la forza rivoluzionaria in un’alba e in una primavera.
-Come l'ha aiutata nella sua vita la poesia?
Certo la poesia non aiuta nella vita pratica, di tutti i giorni. La poesia può essere una medicina dell’anima , questo sì. E può consolare nei momenti più bui della esistenza: l’idea della poesia come consolatio è latina, antica, i contemporanei sembrano trovare negativo il concetto di consolazione, come se fosse sempre mistificatorio. Invece io ho trovato il mio migliore conforto, tornando a casa dopo la morte di mio padre, nella lettura della poesia dedicata alla morte di suo padre da Jorge Luis Borges.
-Che differenza vede dalla poesia di ieri e quella di oggi?
Per me tutta la poesia è contemporanea, e viva. Non sono novecentista, anzi gli autori del secondo novecento non mi hanno per niente influenzato, io trovo contemporanei i canti dei Nativi Americani, i lirici greci, i mistici Sufi, Dante, Shakespeare, Goethe, Shelley, Foscolo, Victor Hugo. Oggi leggo molta poesia soprattutto di giovani che cercano la loro strada espressiva, a volte con forza e necessità. Il linguaggio è cambiato, ma la sostanza spirituale della poesia è sempre quella: una ricerca di assoluto irrinunciabile. La poesia troppo privata, troppo fatta da emozioni più che da visioni, non mi interessa molto, come non mi interessa quella assurdamente perdurante della semplice sperimentazione linguistica.
-La sua esperienza scolastica nella poesia è stata positiva?
Dipende : dal punto di vista dello studente, l’esperienza scolastica intorno alla poesia è stata mediamente buona, alle Elementari le poesie della mia maestra, alle Medie Foscolo e Leopardi, Carducci e Pascoli. Al Liceo, Montale e Ungaretti, ma subito dopo andavo già per conto mio, fuori dai programmi scolastici, leggendo Shelley e Goethe, e poi Mallarmé , Verlaine e soprattutto Baudelaire, l’autore che più di ogni altro fece nascere dentro di me il desiderio di fare lo scrittore. All’università, ricordo due bei corsi che seguii, uno su Eliot, uno proprio su Baudelaire. Come insegnante, nei pochi anni in cui ho insegnato da giovane la poesia era il mio riferimento costante, entravo in classe, leggevo una poesia, la commentavo, e un’ora passava. Ogni tanto mi salutano miei ex allievi, che ora hanno un’età vicina alla mia, che si ricordano di quelle lezioni.
-Quante poesie ha scritto nella sua vita fino ad oggi?
Ho pubblicato in volume L’ultimo aprile banco, L’Oceano e il Ragazzo, Le stagioni, Dialogo del poeta e del messaggero, Canti d’Oriente e d’Occidente, Ferite e rifioriture, Non finirò di scrivere sul mare, più una serie di plaquette, come Il processo di comunicazione secondo Sade, I nuovi canti, L’erica, o libri d’arte come Non so aspettare il vento. Poi ci sono infinite poesie pubblicate in riviste in Italia e all’estero, mai raccolte in volume. E per ogni poesia pubblicata, ce ne sono centinaia rimaste nel cassetto, che non hanno passato il mio vaglio critico, e che non penso di dovere far conoscere. Ogni poesia pubblicata è la punta di un iceberg fatto di letture, studio, lavoro, lima, visione del mondo. Una volta per la radio ho scritto una poesia in un quarto d’ora, in diretta. Altre poesie le ho riscritte cinquanta volte, ci sono voluti anni perché prendessero la forma cui aspiravo. Certi periodi anche lunghi non scrivo nulla in versi, dedicandomi soltanto al romanzo. Altri periodi le poesie zampillano una sull’altra chiedendomi di essere scritte. E io do sempre la precedenza alla poesia.
-Consiglia la poesia ai giovani di oggi?
Qualche anno fa, un editore francese mi ha invitato a collaborare a un volume collettivo, rappresentando l’Italia tra gli altri paesi del mondo, intitolato Lettres à la jeunesse. Dix poètes parlent de l’espoir. Sentendomi chiedere di scrivere una lettera ai giovani, ho capito che ero diventato vecchio, Ma invitando i giovani ad amare la poesia, la ribellione, la gioia, la speranza, ho capito che la giovinezza della poesia è eterna. La poesia è il linguaggio, l’anima, il mondo che si rinnovano. E’ l’utopia di giorni migliori, sognati a qualunque costo e in qualunque condizione anche terribile. E’ il dolore del vivere che si trasforma in una leggera ma infinita felicità. A un giovane consiglio la poesia perché è l’energia che produce, libertà, amore, ricerca della bellezza, dialogo con il divino.
-Come vede il mondo legato alla poesia oggi?
Il mondo come si è configurato oggi, almeno nelle società occidentali, è ostile alla poesia e tende a spegnerla in nome di valori come l’economia e la tecnica. La poesia non produce profitti e non ha mercato, è la vera spina nel fianco di un mondo che ha fatto del denaro e del mercato idoli più luccicanti ma anche più sporchi del biblico Vitello d’Oro. Un giovane con la poesia mantiene integro il suo futuro di essere umano, e non di robot schiavizzato.
-Con quale messaggio desidererebbe concludere questa intervista?
Leggi poesia , leggi grandi romanzi, rivaluta la Letteratura, che è il midollo spinale di una civiltà, riscopri la storia se vuoi avere un futuro, non sottrarti al destino:
“ama la libertà, cerca la gioia
e non dimenticarti mai del mare”
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